“O donna, chi dunque ha spostato il mio letto?”
OMERO, Odissea
Nell’ Odissea dopo dieci anni tutti gli eroi sopravvissuti sono tornati a casa, solo Ulisse vaga senza poter rientrare in patria.
Il suo ritorno è ostacolato dagli dei.
Nettuno, infuriato con lui per l’uccisione di Polifemo, gli invia ondate di tempesta e cavalloni altissimi.
“Allora tutti gli altri, quando evitarono l’abisso e la morte, erano a casa, scampati dalla guerra e dal mare; lui solo, che sospirava il ritorno e la sposa, la veneranda ninfa Calipso, la splendida dea, tratteneva negli antri profondi, volendo che le fosse marito.”(I,11-15)
“Sono bloccata in Australia dal covid, non posso tornare in Italia altrimenti non mi sarebbe permesso di ritornare qui. Che nostalgia!”
Come novelli “Ulisse” agli italiani all’estero a cui viene impedito il ritorno avvertono la mancanza di casa.
La nostalgia si attiva per un nonnulla, fa sentire le ossa molli e la testa piena di una marea tiepida di ricordi; è sofferenza dovuta alla lontananza ma è anche, e questo tendiamo a dimenticarlo, il dolore del ritorno e le pene patite per ritornare.
I Nostoi sono un poema, incentrato sul tema letterario del ritorno dei Greci in patria dopo la distruzione di Troia.
Il poema per antonomasia del ritorno è l’Odissea.
Nel poema è proprio la nostalgia ciò che fa preferire ad Ulisse il ritorno, nonostante egli sia consapevole che a casa troverà il tempo che passa, la morte e, ancora peggio, la vecchiaia invece che l’immortalità.
Ma il ritorno è ostacolato da mille impedimenti. A volte sono gli accadimenti esterni che gli impediscono di ritornare, altre volte è qualcosa dentro che si addormenta nel tran tran quotidiano fra le morbide braccia di seduttrici regine semi divine.
Già una prima volta Ulisse era arrivato in prossimità di Itaca; Eolo il dio dei Venti gli aveva assicurato il ritorno facendo soffiare l’alito dello Zefiro e rinchiudendo i venti rombanti in un otre che gli aveva affidato. “Allora” racconta Ulisse “ il sonno soave mi prese, ch’ero sfinito; continuamente alla barra ero stato, senza darla a nessuno dei miei compagni, perché più presto arrivassimo in patria.” Ulisse si addormenta e l’otre viene aperto: i venti si scatenano.
Bisogna ricominciare tutto da capo.
Quando Ulisse vede Itaca dal mare, la riconosce, ma il sonno gliela fa di nuovo perdere e per otto anni inizia un’Odissea. i Lestrigoni, Circe, gli Inferi, le Sirene, Scilla e Cariddi, l’isola del Sole, Calipso.
Il covid o altri impedimenti congiurano a non far rientrare gli expat, moderni “Ulisse” dei nostri tempi. E come per l’eroe anche per gli expat gli impedimenti sono dati dalla realtà esterna ma anche da propri conflitti interni.
Come per l’eroe anche gli expat si “addormentano” aspettando un visto o un riconoscimento lavorativo, un amore che non si riesce a concretizzare e il covid diventa una scusa per procrastinare.
Addormentati tra le braccia di dee semi divine?
Ma, poi, con un colpo di reni e l’aiuto di un dio si riesce sempre a tornare anche se il ritorno non è mai quello che ci si aspettava.
Kant affermava che il nostalgico è sempre deluso perché non è il luogo della giovinezza che vuole ritrovare ma la giovinezza stessa e quella non la si ritroverà più.
Quando Ulisse addormentato vieni depositato dai Feaci sulla spiaggia di Itaca lui non la riconoscerà.
“E intanto si svegliava Odisseo luminoso, addormentato sopra la terra dei padri; e non la conobbe, da tanto ne era lontano: e poi nebbia gli versò intorno la dea, Pallade Atena, figlia di Zeus, per renderlo irriconoscibile.” (XIII, 187-191).
Finalmente Ulisse è arrivato ma in realtà sembra non esserci. L’isola pare avere un’altra forma, tutto è estraneo, e la sua patria si trasforma in un luogo angosciante.
Eh si, il ritorno a casa è un po’ un paradosso; tutto appare a volte più piccolo a volte più grande di come si ricordava, il pavimento sembra più lucido, tutto è familiare ma anche no.
Freud sostiene che: “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.”
A completare il tutto, bisogna dire che la nostalgia stende uno strato di vernice luccicante su un legno corroso dai tarli e appena si intravede il legno sgretolato torna anche la voglia di ripartire.
“Ma come? se avevo tanta voglia di tornare.”
A questo punto per esprimere questa contraddizione citerei un passo di un libro scritto da Miller Madeline: Circe.
Il suo romanzo non è un saggio scientifico ma poggia sulle solide basi di una conoscenza approfondita delle fonti e dei testi.
L’autrice racconta la vita di Ulisse vista dagli occhi degli altri; prima di Circe e poi dal figlio Telemaco.
Quando l’eroe è volontariamente incatenato dall’amore per la semi dea rimpiange Itaca:
«Di questo io ho sognato» disse lui. «Di campi dorati che si estendono, sconfinati, fino all’orizzonte. Di frutteti, di fiumi luccicanti, di floride greggi. Mi ero convinto che era Itaca che vedevo.»
Ma dopo anni dal suo ritorno a Itaca, Telemaco descrive così la difficile permanenza a casa di Ulisse.
“ Era stufo di vivere fra le ceneri, disse. Partì a bordo di una scialuppa e tornò un mese dopo con cinture e coppe d’oro e un nuovo pettorale, e spruzzi di sangue secco sui vestiti. Non l’avevo mai visto più felice. Ma durò poco. Al mattino stava già imprecando contro il salone pieno di fumo e la goffaggine dei servitori.»
Eh si, tornare o rimanere è una scelta difficile e piena di aspettative che non sono mai soddisfatte.
Se si torna a casa tutto non è come ce lo aspettavamo se si rimane la nostalgia ci tiene in scacco.
Ma questo in fondo è il destino dell’uomo sempre in attesa di un altrove che lo soddisferà completamente e mai sazio del luogo che ha conquistato e delle esperienze che ha compiuto.