Nevrosi Ossessiva: Silvia e le porte che non si aprono

Durante il quarto anno del nostro lavoro assieme Silvia inizia a veder sparire molte delle sue manifestazioni psicosomatiche.

Rimangono però l’asma e forti riniti.

“Per la prima volta in questi giorni mi sono sentita bene nel mio corpo.
Senza paura e senza angoscia.
Per tutta la vita ho dovuto pensare al mio corpo per non andare in pezzi.
Lei mi ha aiutato a capire che ho un corpo tutto mio.”

Silvia era venuta da me perché soffriva di invalidanti allergie, causate da ogni tipo di profumo, ma nel contempo stesso era costretta a lavarsi in continuazione per cancellare i cattivi odori che riteneva di emanare.

“L’odore più disgustoso è l’odore di pesce.”
diceva Silvia.

L’olfatto, è dei cinque sensi quello che ci mette in contatto con la realtà nel modo più intimo e profondo, in quanto ha meno legami con una visione mediata ragionata del mondo, le sensazioni olfattive rimangono in noi solo a un livello inconscio.

La natura “inconsapevole” dell’odorare fa sì che esso giochi un peso notevole nell’ambito delle emozioni, i profumi e gli odori diventano parte della nostra percezione del mondo e possono riassumere in un’unica sensazione un’intera situazione ambientale, e veicolarci sensazioni e ricordi legati a quel esperienza.

Lavorando su se stessa, partendo dalla “puzza” e procedendo a estesi scavi “psico-archeologici”, tra le rovine del suo mondo sotterraneo, attraverso le sensazioni fisiche e le memorie corporee, attraverso il materiale onirico che contiene molti intrecci e molte storie, Silvia ha scoperto la sua storia personale.

Intrecciando assieme esperienze corporee e esperienze vissute, Silvia aveva sviluppato una sua personale separazione del bene dal male, ciò che era buono emanava buon odore, ciò che era cattivo emanava cattivo odore e quindi per sentirsi buona era necessario essere pulita, cioè ben lavata.

Il corpo di Silvia che come ogni corpo vivo è destinato ad emanare cattivo odore era vissuto da lei come un nemico, che può sorprendere in qualsiasi momento.
Il suo corpo poteva ammalarsi, poteva sudare o emanare cattivi odori, poteva tradirla, insomma, e quindi lavandosi sempre lei combatteva tutti i sentimenti negativi che potevano albergare in lei.

Nel lavoro con Silvia è stato importante trovare una storia individuale che ci ha fatto da bussola nelle acque profonde dell’inconscio.
Contemporaneamente abbiamo anche trovato una storia comune all’umanità, che ci ha permesso di intuire una possibile soluzione che ha allentato la paura e ha aperto finestre sul muro chiuso.

Esisteva un tempo, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di Barbablù.
Si diceva che corteggiasse tre sorelle contemporaneamente.

Le sorelle erano spaventate dalla barba blù di quest’uomo, e così si nascondevano quando le chiamava.
Nel tentativo di convincerle della sua mitezza egli le invitò ad una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e nastri cremisi: sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli, e al piccolo trotto si avviarono nel bosco.

Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano accanto e davanti a loro; poi si fermarono sotto ad un albero e Barbablù le intrattenne narrando storie e offrì loro leccornie.
Le sorelle cominciarono a pensare:
Insomma, questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo
Tornarono a casa e non finivano più di parlare di quella giornata così interessante, di quanto si fossero divertite…

Ma riaffiorarono i sospetti ed i timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù.
La più piccola pensò che se un uomo poteva essere tanto affascinate, allora forse non era neanche così cattivo…
Più rimuginava tra se e meno le sembrava terribile, e anche la barba le pareva meno blu. Così quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò.

Aveva accolto con orgoglio la proposta di matrimonio, e pensava di sposare un uomo molto elegante.
Si sposarono e poi andarono al suo castello tra i boschi.
Un giorno andò da lei e le disse:

Devo andare via per qualche giorno. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di preparare un banchetto, potrai fare tutto quel che il tuo cuore desidera.
Ecco il mio mazzo di chiavi: puoi aprire tutte le porte dei magazzini e delle stanze del tesoro, qualunque porta del castello. Ma non usare questa piccola chiave con la spirale in cima.

Lei rispose:

Si, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai mio caro marito, e non preoccuparti e torna presto
    “.

Così lui partì e lei rimase.
Le sorelle andarono a trovarla, e come tutte le donne, erano curiose di conoscere le istruzioni che le aveva lasciato padrone per la sua assenza, e gaiamente la sposina raccontò ogni cosa:

Ha detto che possiamo fare tutto ciò che vogliamo, tranne che entrare in una stanza la cui porta si apre con questa chiave.

Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare la porta a cui apparteneva la piccola chiave: il castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e si divertirono immensamente a passare da una stanza all’altra: dietro ad una porta c’erano le dispense, dietro un’altra i depositi delle monete …
In ogni stanza c’erano beni d’ogni sorta, e ogni volta sembrava tutto meraviglioso.

Alla fine arrivarono alla cantina. Si scervellarono sull’ultima chiave, quella della stanza proibita. “Forse non apre nessuna porta!“, e proprio mentre lo dicevano udirono uno strano rumore e videro dietro l’angolo più oscuro una porticina che si richiudeva.
Invano tentarono di riaprirla, era sprangata.
Una allora gridò: “Sorella! Sorella porta il mazzo: deve essere questa la porta della piccola chiave!“.
Senza rifletterci su infilò la chiave nella serratura e la girò facendola scattare.

La porta si spalancò nell’oscurità, accesero una candela per poter vedere finalmente cosa fosse celato nella misteriosa stanza, con un grido di orrore si accorsero che l’ambiente era un lago di sangue, con ossa umane sparse ovunque, e agli angoli erano impilati i teschi come piramidi di mele.
Richiusero velocemente la porta, sfilarono la chiave, e si strinsero l’una all’altra, tremanti e invocando il Signore.
La giovane sposa guardò allora la chiave e s’avvide che era macchiata di sangue: tentò di pulirla sfregandola sulla gonna, ma il sangue restava.

Terrorizzate tentarono a loro volta le altre, ma non c’era verso di farla tornare come prima. La giovinetta la mise in tasca e corse in cucina per sfregarla con uno strofinaccio, e mentre si avviava la chiave cominciò a grondare sangue macchiandole l’abito bianco.
La strofinò, il sangue continuava a colare; provò con la cenere, poi con il fuoco e con le ragnatele, ma niente fermava il flusso rosso.
Infine, disperata, decise di nasconderla nell’armadio, togliendola dal mazzo.

La mattina dopo il marito tornò al castello e chiamo la sposa per interrogarla.

Com’è andata durante la mia assenza?
    • ” chiese.

    •  “
Bene, signore
    • “.

Come sono i miei depositi?
    • ” tuonò.

    •  “
Davvero molto belli, signore
    • “.

E le stanze del tesoro?
    • ” ringhiò.

    •  “
Bellissime signore
    • “.

Dunque è andato tutto bene moglie?
    • “.

    •  “
Si, tutto bene
    • “.

Allora
    • “, sussurrò, “
allora sarà meglio che tu mi renda le chiavi
    “.

Appena ebbe il mazzo in mano con un’occhiata si accorse che mancava una chiave, e gridò: “Che hai fatto della chiave più piccola che ti avevo raccomandato di non usare?
Lei balbettando si giustificò: -“Io… ecco io… Io l’ho perduta andando a cavallo“.

Gli occhi furenti di Barbablù l’incenerivano: -“Come l’hai persa? Dove?
E lei ancora tentava di farsi scusare: -“L’ho persa a cavallo… Non ricordo dove… Non so come…
Non mentirmi, dimmi che ne hai fatto!” Gridava mentre l’afferrava per i capelli, e urlando la gettò a terra: -“Infedele! tu sei entrata in quella stanza!“.
Aprì l’armadio e trovò gli abiti insanguinati dalla chiave posata sul ripiano.

La guardò con occhi di brace, e la trascinò giù in cantina ghignando: -“Adesso tocca a te mia giovane sposina!“.
E al suo cospetto la porta della spaventosa stanza si spalancò mostrando gli scheletri delle mogli precedenti.
La giovane si aggrappava alla porta implorando -“Concedimi almeno di raccomandare l’anima a Dio! Ti supplico…“.
Lui la guardò e le concesse questa supplica: -“Prega, e fatti trovare pronta a morire tra un quarto d’ora“.
La ragazza corse sulle scale per mandare le sorelle sui bastioni del castello a chiamare aiuto, e mentre inginocchiata fingeva di pregare, le interrogava:

Sorelle, arrivano in soccorso i nostri fratelli?
    • “.

    •   “
Ancora no, ancora no purtroppo!
    • “.

Arrivano i nostri fratelli?
    • ” continuava a domandare.

    •   “
Finalmente! In lontananza si vede un polverone: saranno certamente loro!
    “.

Intanto Barbablù chiamava a gran voce la moglie dalla cantina, dove l’aspettava per decapitarla mentre lei scendeva lentamente chiedendo notizie dei suoi salvatori, lui saliva a grandi passi i gradini di pietra urlando: -“Vengo a prenderti!“.
Quando fu prossimo alla stanza della moglie, i fratelli varcarono la soglia del castello, giungendo nella camera della sposa proprio nel momento in cui Barbablù stava per afferrarla, e con le spade sguainate si avventarono su di lui uccidendolo e facendolo a pezzi.

Scrive Clarissa Pinkola Estés.

All’interno della psiche esiste un aspetto innato, contra naturam.
La forza “contro natura” si oppone al positivo: è contro lo sviluppo, l’armonia e il selvaggio. È un antagonista derisorio e sanguinario che nasce in noi, e anche con il miglior nutrimento parentale l’unico compito dell’intruso è il tentativo di trasformare ogni crocevia in strade senza uscita.

Per Silvia questa forza contro natura, che potremmo definire “il male” è inconscia e naturalmente puzza.

“Non posso andare in ospedale quell’odore mi fa star male”
“I matti hanno cattivo odore e i tossicodipendenti puzzano di zucchero”

Attraverso l’olfatto ella intuisce le forze oscure che abitano la nostra psiche, ma non vuole accoglierle dentro di sè.

A volte l’educazione non spiega alle ragazze giovani che il mondo interiore e quello esterno non sono sempre luoghi spensierati e le lascia ignoranti degli aspetti delittuosi della psiche.

Silvia nei suoi sogni non riesce ad aprire le porte ed è sempre in fuga dall’uomo nero, che prende aspetti animaleschi e naturalmente puzza.
La sua anima non riesce a manifestarsi, si nasconde sottoterra, e ogni tanto fa capolino per vedere se l’ombra dell’uomo nero si è allontanata.

Poi un giorno finalmente questo sogno:

Ero con la mia amica eravamo in una specie di palazzo o città con delle mura, dei cortili interni.
Dovevamo recarci nel piano superiore per raggiungere una porta ma un vento ci spingeva in senso contrario e non riuscivamo a raggiungere tale porta situata in alto.
Siamo così tornate indietro e siamo risalite in senso orario, nessun vento è apparso ed abbiamo raggiunto la porta senza problemi.

Finalmente grazie alla collaborazione dell’amica (psicologa) Silvia riesce ad aprire la porta; come le sorelle nella fiaba una marcata sensibilità alle puzze e ai profumi l’ha spinta ad occuparsi più di quanto si dovrebbe del “cattivo” e questo le ha permesso di aprire la porta della stanza del mistero.

Un po’ le sue esperienze familiari, un po’ le forme educative avevano impedito a Silvia di aprire la porta della stanza segreta, inibendo il suo naturale istinto alla curiosità e alla scoperta di “quello che sta sotto“.

Ella aveva obbedito all’ordine di barbablù di non usare la chiave e aveva scelto la morte spirituale, disobbedendo all’ordine e sviluppando consapevolezza ha scelto la vita.

Illustrazione di Alessandra Psacharopulo

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