Scoccare una freccia a favore di Tinder

Il carnato del cielo sveglia oasi al nomade d’amore.

Giuseppe Ungaretti

L’ho incontrato su Tinder “ mi dice Chiara guardandomi di sottecchi come chi rivela una debolezza, una falla della personalità.

Ma perché vergognarsi di cercare relazioni su un sito? Perché pensare che Tinder sia uno stratagemma narcisistico?

In un mondo che sta cambiando Tinder è uno strumento e solo il modo in cui viene utilizzato  può renderlo negativo. Se diventa, però, un’ossessione o un data base su cui archiviare più incontri possibili, allora, può essere un problema, ma, in realtà, le frecce di Cupido hanno sempre bisogno di una direzione e un sito d’incontri può dargliela. 

Inoltre, se ben usato Tinder è anche un mezzo per raccontare se stessi ed ascoltare il racconto di un altro che non è noi ma qualcuno che a noi assomiglia. L’incontro è una pagina bianca su cui scrivere ciò che vogliamo e se la chat dell’app è un foglio non scritto proviamo, allora, a vederlo come un libro che si srotola da solo, mano a mano che iniziamo a scrivere.

Intanto c’è l’incipit.

Si, certo l’incipit è sempre frustante: “Come stai?” “ Cosa fai?”. A dire il vero, però, negli incontri face to face: “Bella giornata oggi.” non è che sia poi molto più interessante.

Cechov disse che se uno scrittore nell’incipit di un suo libro parla di un fucile; questo fucile prima o poi  deve sparare. Ecco andare a caccia di quel fucile potrebbe rendere interessante una conversazione che muore e sta per esalare l’ultimo respiro. In fondo in tutte quelle frasi banali e stereotipate si cela un’unica domanda: “Chi sei?”

Ed è quel “Chi siamo?” Che come il fucile di Cechov prima o poi deve sparare.

“Oddio! Se neanche lo so chi sono veramente?”

Ecco questo è un buon momento per iniziare a conoscersi. Un mio paziente mi disse un giorno che descriversi su Tinder era come definire se stessi davanti ad un pubblico non pagante.

La regola, però, è che nessuno menta: né con foto dove si è riusciti benissimo, né con pregi che non si possiedono, né con abilità che non si hanno.

 Si inizia a raccontare e  poi si vedrà.

In questo modo mano a mano che andiamo in scena, si snocciola la trama.

Incominciamo da una frase e da una immagine che ci coinvolge, facciamo domande e rispondiamo a domande e piano, piano andiamo vincendo la paura. In punta di piedi tra le maglie della trama appariranno i fallimenti  (“I fallimenti che per tua natura normalmente attirerai” canta Battiato), e con loro incidenti, delusioni, vigliaccate.

A questo punto vien voglia di fermarsi ma a pugni chiusi  è necessario proseguire altrimenti la trama zoppica e non evolve. Pensate un po’ a cosa non sarebbe successo se Madame Bovary non avesse comperato ogni inutilità dall’avido Monsieur Lhereux? e se nell’Idiota di Fëdor Dostoevskij,  il Principe Lev Nikolàevič Myškin non avesse incontrato Nastàs’ja Filìppovna .

Lo so che al primo problema vien voglia di gettare via quella relazione così fragile fatta di parole virtuali; lasciare la pagina incompiuta e gettare il foglio quasi bianco appallottolato nel cestino dell’immondizia, dimenticando di averlo mai scritto.

Ma invece è a quel punto che occorre andare avanti e considerare gli intoppi, i traumi: la  trama della storia.

Mano a mano che ci si inoltra nella relazione che si sta creando conosciamo meglio il personaggio che noi siamo e l’altro davanti a noi mentre tutti i nodi e i fili della trama cominceranno a intrecciarsi e la storia inizierà ad acquistare un senso. E’ la trama che rivela le intenzioni umane; è lei che mostra come tutto sia connesso ed abbia un senso.

Ci sarà, poi, un momento in cui, come in ogni storia che si rispetti, il nostro racconto avrà un epilogo bianco su sfondo nero come in un film degli anni 30.

No, non il finale che immaginate o il finale che già avevate in mente al primo ciao, ma un finale vero quello da cui non si torna indietro.

A questo punto inizia una nuova storia con un incipit, una trama e un finale, ciò che era virtuale ora diventa reale.

 L’equilibrismo di questo primo appuntamento è proprio il ricordarsi che si sta  andando a chiudere una storia, con  tutto il suo bagaglio di malinconia e fazzoletti bianchi che si agitano al vento, e non a iniziarla.

Un vero finale è una incognita, non è necessario fantasticarci su: immaginare e idealizzare, proiettandoci dove ancora non siamo.

La storia di noi e dell’altro che abbiamo disegnato con il contatto su Tinder dovrà assomigliare a quei mandala che i monaci tibetani disegnano con la sabbia; un soffio e tutto si distrugge senza lacrime o tragedie per poi ricominciare a disegnare un nuovo mandala.

Artwork Marco Bruschi FABRIEK STUDIO

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